lunedì 31 dicembre 2018

2019 un nuovo inizio



 Le giornate sono fredde ed umide, il cielo grigio non provoca esattamente delle sensazioni di energia ed entusiasmo.

Quando ci troviamo fuori, spesso non vediamo l’ora di far ritorno a casa per gustare quell’ impatto con il calore del nostro rifugio che avvertiamo appena apriamo la porta e varchiamo l’uscio. È una sensazione di profondo ristoro che porta con sé un grande senso di gratitudine.
Di colpo ci sentiamo più distesi, sicuri e fiduciosi. Siamo entrati così tante volte da quella porta e abbiamo appoggiato così tante volte le chiavi forse nel porta oggetti, ma quando fuori è freddo e le nostre mani irrigidite dalle temperature invernali, entrare in casa ci sembra come aver raggiunto finalmente il traguardo che attendevamo. Sebbene non ci fosse nessuna bestia feroce fuori ad inseguirci, il rientrare al calore dei nostri luoghi familiari risuona nella mente come essere finalmente salvi da qualche inesistente insidia.
Ecco che in un momento riacquistiamo quella forza e fiducia che si erano forse momentaneamente allontanate a causa del freddo che indurisce le nostre menti e tende i nostri nervi.

Rientrare a casa è un nuovo inizio, guardiamo la dispensa pensando a cosa gusteremo per cena, lanciamo un’occhiata alla pianta sul davanzale e scorgiamo una nuova foglia che sta si sta aprendo, il nostro cane viene a salutarci da fuori accogliendoci con grandi feste che scaldano il cuore e ci rimettono in pista dopo la lunga giornata, un click su play e la casa si riempie in un instante di musica e tutto sembra rincominciare.

Siamo sempre noi, ma in un nuovo ciclo.

Oggi il calendario occidentale marca la fine del 2018 e l’inizio di un nuovo anno.
Tra chi si prepara a celebrare in famiglia o chi organizza petardi e fuochi d’artificio per “allietare” la notte e far rimbombare il vicinato, c’è anche chi si appresta a trovare la gif migliore da inviare a 200 contatti Whatsapp senza nemmeno dover scambiare una parola… chiaramente c’è un’attesa nell’ aria ed un senso di cambiamento.

Ma come possiamo vivere al meglio questo inizio di nuovo anno? Cosa possiamo augurarci e cosa possiamo aspettarci dal 2019?
Questo non vuole in realtà essere uno di quei messaggi di auguri e buoni propositi in cui si elencano innumerevoli e lontane qualità da raggiungere nel nuovo anno con il forte rischio di risultare infine un po' astratti, non elencheremo obiettivi nebbiosi all’ orizzonte e certamente non sarà un’ ingenua ricetta per essere più bravi nell’ anno nuovo.
Siamo invece davanti ad una condivisione, un’apertura e una lettura di quello che può essere un “nuovo capitolo” per molti di noi.

Personalmente sono più incline ad avvertire l’inizio di un nuovo ciclo quando l’estate volge al termine e settembre porta con sé il capodanno Etiopico. Sento più vicino quello come l’inizio dell’anno nuovo, e non soltanto per la fede Rastafari.
Sin da quando ero bambino infatti avvertivo quello come l’apertura di un nuovo capitolo e ho sempre considerato settembre come, in un certo senso, il primo mese dell’anno…. Dopo il caldo estivo e la conclusione di un ciclo, se ne apre un altro carico di nuove sfide, piaceri, doveri, esperienze e obiettivi da cercare di raggiungere.
Detto ciò resta il fatto che viviamo in un contesto che azzera il calendario alla mezzanotte del 31 dicembre, di conseguenza vale la pena pensarci su e utilizzare questa ricorrenza come un’occasione di riflessione e consapevolezza… di certo non può guastare.
Cambia il calendario sulla parete, la vecchia agenda finisce nel cassetto e se ne inizia una nuova, ma noi siamo sempre gli stessi.

Una contraddizione? Una formalità?
Forse no.

L’essere umano ha bisogno di cicli. La stessa natura e la nostra vita si articolano in cicli, sono dei sistemi che ci permettono di tenere le cose, per così dire, sotto controllo. Possiamo guardare ai cicli come a dei grandi contenitori che ci aiutano a fare ordine. Sono delle strutture in cui, volenti o nolenti, noi stessi viviamo.
Ogni ciclo è un ottimo strumento di crescita e può essere usato come supporto per la nostra organizzazione mentale e spirituale.
Quello che purtroppo spesso non gioca a nostro favore è la sensazione dell’essere vittime o in un certo modo oggetti di questi cicli. Molti infatti non guardano di buon occhio a compleanni o capodanni perché li vedono come un perpetrarsi di inizi che in realtà non fanno cominciare nulla di nuovo ma che continuano a costringerci nei nostri vecchi pattern e modelli. Problemi che non si risolvono, obblighi da portare avanti, insoddisfazioni che non scompaiono, pigrizia e stanchezza che aumentano.

Il messaggio invece è uno e molto diretto.
Non dobbiamo sottostare ai cicli ma invece stare al di sopra di essi. Non siamo vittime del calendario bensì dovremmo imparare a vederci come collaboratori di esso.
Dobbiamo proporci di imparare a vedere il tempo che passa come un susseguirsi di occasioni per mettere in pratica ciò che realmente vogliamo fare e chi realmente vogliamo diventare in questa vita. Il calendario è un supporto per la realizzazione personale, e non parlo ovviamente solo di realizzazione professionale o accademica… ma più profondamente di realizzazione umana.

La Livity Rastafari ci insegna che tutto in questa Creazione ha un proposito ed una motivazione, ogni istante è un’occasione di compimento, crescita, avvicinamento alla persona che stiamo cercando di diventare. Siamo infatti devoti alla trasformazione, vogliamo vedere compiuti quegli sforzi che mettiamo in atto ogni giorno.
Non dobbiamo certo idealizzarci o crederci chissà chi, ma è importante che ci poniamo degli obiettivi spirituali e materiali con l’obiettivo di vivere meglio.

È inutile riempirsi di belle frasi altisonanti su come vorremmo che fosse questo 2019 se poi tralasciamo la base e l’essenza di ogni cambiamento ovvero vivere bene.
Spesso infatti grandi ambizioni portano con loro grandi aspettative che rischiano di creare ansie e blocchi. Non sto dicendo che non dovremmo puntare in alto e innalzare i nostri standard, certo che sì! Ma ciò che realmente conta è creare quell’ energia di base che è poi il motore di ogni cambiamento, ovvero aspirare a vivere meglio.

È così semplice che potrebbe risultare quasi scontato, così come ogni alba e tramonto potrebbero essere scontati ma in realtà decorano la vita di noi esseri umani ogni giorno.
Il messaggio è ritornare alla base, semplificare, in un certo senso riportare le cose a casa.
La nostra casa interiore che, quando riempita della giusta motivazione, è in grado di farci avvertire ogni luogo di questa terra come la nostra vera casa esteriore.
Proponiamoci di imparare a fare una passeggiata, oltre che a compiere i nostri obiettivi professionali o a completare gli esami per poi correre verso la tesi. Impariamo a restare seduti dinanzi ad un paesaggio per più di cinque minuti senza correre alle notifiche dello smart phone, impegniamoci a gustare un nuovo piatto che impareremo a cucinare… impareremo mai a fermarci?

Saremo mai in grado di rinunciare a ciò che è superfluo e non necessario per il nostro benessere? Forse non del tutto, ma non è questo il punto.

Il vero obiettivo è modellare il piccolo ed il semplice.
Imparare ad essere scultori di un istante, per poi poter modellare la vita intera.
Le mie parole non sono un’ode alla rinuncia agli affari mondani, anche se è ovviamente salutare riuscire a trovare un equilibrio tra l’essere impegnati e il prendersi del tempo per sé stessi. È certamente importante porsi degli obiettivi ambiziosi, spesso la vita ci porta a segnare sul calendario delle scadenze per cui non ci sentiamo pronti o che non avremmo mai immaginato di dover portare a termine. È tutto molto bello.
Questo però deve essere bilanciato con la coltivazione di quell’ energia di base che è la ricerca del benessere nel semplice e piccolo momento. Questo è il fondamento della vera rivoluzione, interiore ed esteriore.
Non siamo cattivi ed ipocriti con noi stessi, non diciamoci che ci sforzeremo di essere bravi verso i nostri colleghi che troviamo antipatici quando in realtà ancora non abbiamo imparato come amare noi stessi. Finché non ameremo noi stessi non saremo in grado di amare bene nessuno.

Semplifichiamo quindi, forse è il caso di riaggiustare i nostri standard e obiettivi. Ricerchiamo quel vivere più semplice e connesso che in effetti è ciò che ci dona piacere e benessere.
Impariamo da quella piacevole sensazione che avvertiamo quando entriamo nella casa calda, da quell’ energia che dà senso a tutto il resto, quel senso di appartenenza che riscopriamo nella semplicità e nella familiarità.

Rastafari è la via dell’amore perché è la strada della celebrazione costante.

Attimo dopo attimo si costruisce l’eternità.

Minuto dopo minuto avanziamo verso Zion.




venerdì 2 novembre 2018

Interpretazione dell'Incoronazione di Haile Selassie Primo




Eccoci in quel periodo dell'anno in cui il caldo comincia a lasciare spazio al freddo invernale che viene annunciato dal mutamento del paesaggio e dall'accorciarsi delle giornate.
E' quel periodo in cui ci si incomincia ad abituare ad una nuova stagione, ad un nuovo ciclo che sta prendendo piede.

E' così strano e meraviglioso come, nei giorni prima del 2 Novembre, il cuore resta in attesa, lo spirito languisce e brama come recita il salmo.. E proprio come un salmo vivente ci sentiamo approcciando questo giorno, le giornate profumano di gloria e l'attenzione e' rivolta a questo evento e alla sua risonanza eterna ed universale..allo stesso tempo così vicina ed istantanea. L'incoronazione.. Il compimento..l'azione che sigilla millenni di attesa e inaugura la rivelazione  della salvezza in terra.
Il Re dei re 88 anni fa veniva incoronato e proclamato sovrano dalla Creazione stessa per vivificarla e rendere giustizia all' attesa che il cosmo intero viveva.

Nella chiesa del Patrono San Giorgio, che sconfisse il dragone così come il King sconfiggerà il male in terra e ne calpesterà le vesti disoneste, le profezie venivano esaudite per il benessere e la redenzione del genere umano. Proprio lì, dinanzi al popolo del vero Israele che innalzava palme e cantava liturgie, i misteri venivano svelati sotto la luce del caldo sole etiopico, i salmi acquistavano significato e la Creazione veramente sedeva come sgabello dei Suoi piedi. Era proprio quel giorno, per cui i patriarchi hanno pregato in visione e gli apostoli hanno sperato morsi dall'attesa di rivedere il Maestro tornare in gloria..l'evento per cui l'Africa ha risuonato intera e il mondo ha dovuto inchinarsi, le nuvole aprirsi per poi richiudersi, i cuori anelare per poi dissetarsi.

C'era attesa. Il mondo cambiava. Troppo moderno per essere governato allo stesso modo del passato e ancora troppo antico per il nuovo futuro di equilibrio..come in bilico su un vertice pericoloso, il destino dell'umanità oscillava insicuro, bisognoso di guida e stabilità.. I figli di Adamo ormai cresciuti brancolavano nell'incertezza del progresso e dell'evoluzione da conciliare con la conoscenza antica e lo spirito da tramandare alle generazioni.
C'era bisogno di luce, di chiarezza e di giustizia, perché l'antico ormai stava volgendo verso il moderno e le pagine di storia necessitavano di redenzione..proprio come le popolazioni afflitte ed incerte dinanzi ad un mondo che poteva o soffrire la condanna finale o trovare la sua salvezza.
Solo nei momenti più cruciali e spesso limpidamente  vulnerabili possiamo dare la spinta definitiva alle cose, soltanto allora, quando le circostanze sono ormai spiegate come carte in tavola, possiamo esercitare un cambiamento.

E' questo il mondo che assiste all'incoronazione.

Il pianeta stava cercando di riprendersi dal primo sconvolgente conflitto mondiale e la popolazione risultava così piccola di fronte al futuro incerto che obbligava tutti a crescere per apparire grandi e forti dinanzi agli altri, una corsa a chi poteva sfoggiare l'ombra più grande..pur avendo un corpo minuto.
Il Re dei re giunge come il sovrano che l'umanità aveva sempre atteso e mai ancora incontrato, Colui che e' persona regale per eccellenza, imperatore del regno più antico, l'unico in terra a rappresentare una dinastia figlia dell'elezione divina, il sovrano investito del potere senza tempo dinanzi al quale tutti si sentivano giovinetti e soprattutto colpevoli di aver snaturato il sacro impegno del governo in nome della cruda tattica politica.
Una cerimonia antica come nel passato biblico dei re del vecchio Israele, per celebrare il sovrano che avrebbe portato il nuovo Israele in un biblico futuro.
Colui che grazie al sigillo di quella corona avrebbe aperto il sigillo numero sette della comprensione e della redenzione dell'umanità intera, preparando questa verso la crescita definitiva in cui ogni vivente può esser partecipe della Gloria nella vittoria del bene sul male.
Redenzione. Liberazione. Ricompensa.

Forse inconsapevole, osservando quell’Incoronazione, il mondo intero assisteva alla proclamazione dell’arrivo del Regno Messianico destinato a durare in eterno come esempio di rettitudine e giustizia così da eliminare  scusanti per tutti i corrotti e corruttori.
Settantadue nazioni furono chiamate come i settantadue discepoli del Vangelo ad essere testimoni del solenne avvenimento, ognuno da un luogo differente della Terra e ognuno dei quali avrebbe poi avuto contatti e relazioni con l’Etiopia nella storia.
Mai l’ incoronazione di un sovrano ebbe tale risonanza nel mondo intero, mai un avvenimento regale provocò un tale eco ed un tale impatto locale ed internazionale.. tutta la Terra rimase come sorpresa da ciò che avvenne ad Addis Abeba quella mattina del 2 novembre 1930. Come un tuono che preavvisa un forte  temporale, così quel maestoso evento preannunciava il cambiamento che avrebbe segnato il ventesimo secolo ed il futuro a venire.

L’emozione nelle strade della capitale era così forte da avvertirla risuonare in ogni persona e nella natura circostante.
Le famiglie erano in profonda eccitazione e raccontavano ai figli del grande imperatore che stava per prendere il trono.
I nazirei e gli eremiti avevano percorso chilometri nei boschi per scendere dalle montagne e venire ad essere testimoni dell’evento profetico che faceva riecheggiare nelle loro menti e nei loro cuori le promesse bibliche che così tante volte avevano letto nelle Sacre Scritture.
Tra il popolo c’era un energia palpabile quasi frenetica, incrementata dal ricordo di ciò che si diceva prima della nascita di Colui che stava per divenire l’ Imperatore, che sarebbe stato un bambino speciale, che avrebbe offerto all’Etiopia ciò che nessun altro regnante aveva mai fatto prima, che Egli avrebbe governato secondo la giustizia di Dio e non quella degli uomini. In un Paese in cui le sacre profezie delle Scritture vivono in maniera innata nella popolazione, queste voci non stimolavano soltanto la mera curiosità delle persone ma anche il loro più profondo senso di attesa di redenzione.  La città era in una condizione di attesa euforica provocata da un sentimento di gioia e fibrillazione per il cambiamento imminente, di un nuovo tempo che avrebbe tagliato i ponti con il passato e trasportato la nazione in un futuro difficile da immaginare ma così pieno di aspettative.
In un Paese in cui la difficoltà e la durezza della vita erano intrecciate con la solennità e la regalità dell’ appartenenza al destino biblico, i cuori delle persone erano preparati ad assistere alla manifestazione delle promesse davidiche.

Con la corona di diademi sul capo e con il globo nella mano, il nuovo Imperatore della dinastia di Judah sfilava insieme all’Imperatrice tra i dignitari e i regnanti ospiti che a Lui avevano giurato fedeltà e si erano inchinati.
La chiesa di San Giorgio risplendeva di una luce nuova e diversa che si diffondeva dal centro verso l’esterno, come se fossero i raggi di un nuovo sole che andava ad illuminare l’universo intero partendo dal centro di esso, l’Etiopia, il luogo da cui tutto è partito e a cui tutto stava per ritornare, il giardino dove il Creatore passeggiava all’inizio dei tempi e dove ora il Suo Messia camminava posatamente tra la gioia del popolo e l’esultanza della Creazione tutta.
La corona di spine con cui era sceso dalla croce era ora una fantastica corona di diademi preziosi come le profezie annunciavano, le ferite dell’Umanità erano ora pronte per essere guarite.
Le genti dalle isole del mare l’ avrebbero acclamato ed Egli li avrebbe raccolti, proprio come i profeti del passato avevano urlato.
L’antica tradizione cristiana etiopica aveva accompagnato i suoi fedeli fino al ritorno del Messia che avevano professato per duemila anni e la cui testimonianza avevano difeso per tutto questo tempo, rimanendo una roccia di puro cristianesimo originario resistendo ai cambiamenti del mondo circostante. Ora il tempo era pronto per un nuovo inizio, una nuova creazione ed una nuova fede: Rastafari, germoglio prelibato dell’Ortodossia Tawahedo e di duemila anni di Vangelo, esperienza di vita naturalmente mistica, redenzione per l’Africa e per il mondo intero, riscatto per coloro che avevano vissuto fino ad ora nella metà della storia che non era stata ancora raccontata.

Accettando la corona Sua Maestà incoronava anche I n I Rastafari così come tutti gli uomini di buona volontà che avevano atteso fino ad ora il loro riscatto, incoronati a regnare con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, nella gloria del Word, del Sound e del Power.
Completi come nella perfezione di un angolo, I n I è il cerchio tracciato intorno ai suoi tre vertici..l’angolo è la Santissima Trinità e InI è l’energia e la vita che si produce e si espande toccando questi tre punti, espressione del potere generante e creatore che attraverso la Livity manifestiamo ogni giorno consapevoli della regalità dell’esistenza da vivere alla luce del Re dei re.

Il nuovo canto, la nuova melodia suonata dal nuovo strumento ovvero l’anima redenta e unita al Creatore originario, il nuovo giorno che non conosce più tenebre, l’alba fresca e umida della terra di Zion, la gioia della danza davanti all’Arca, la generosità della terra che non nega più nulla ai suoi figli, le catene spezzate che permettono al corpo e allo spirito di correre liberi nel giardino universale. L’unità che i progenitori avevano perduto in cambio di un frutto di concupiscenza, la forza del piede che schiacciò il serpente così da liberare il suolo dall’ insidia del dubbio, la potenza della nube in cui Mosè accedeva vincendo il timore umano ed entrando nel coraggio divino, la fiducia dei profeti che rinunciavano alla propria persona terrena per acquistare quella celeste.
Quest’energia I n I vede e contempla a partire da quel 2 novembre di ottantotto anni fa, un fuoco divoratore che vivifica i giusti ma allo stesso tempo sradica le iniquità. Un nuovo capitolo che è stato concesso all’essere umano per potersi assicurare il suo posto al sole più alto, ovvero la luce di salvezza che emana il Trono celeste..la stessa che in modo unico illuminava la Cattedrale di San Giorgio in quel santo giorno. Nulla è per caso e niente avviene prima del tempo. Ora I n I Rastafari è testimone e custode di questa luce, e non teme più le tenebre perché da queste siamo ormai usciti e contro di queste ci siamo fortificati.
E quale gioia, quale giubilo provavano i riscattati dell’ Israele tradito e deportato in navi di malignità, obbligati ad attraversare oceani di ingiustizia che li avrebbero separati dalle loro radici. Ma il dolore più profondo può diventare la gioia più grande, il pianto può tramutarsi in felicità quando non si ha più nulla da perdere e, ormai svuotati, ci si aspetta soltanto di essere nuovamente riempiti.

Ed ecco che una nuova voce di riscatto giungeva agli esiliati, una notizia che poteva forse offrire risposta alle difficili domande che lo spirito si poneva osservando quelle distese d’acqua che li dividevano dalla terra materna. Era forse questa l’opportunità che era stata promessa? Era forse questa la risposta ai canti di redenzione che avevano intonato osservando quelle catene ai piedi? Era forse giunto il Re che poteva rendere gli schiavi nuovamente sovrani?
La durezza dei ghetti coloniali era un moderno dipinto dell’antico Egitto faraonico, a quel tempo Israele in schiavitù era assoggettato e costretto a costruire piramidi ovvero tombe di morte..allo stesso modo in questo contemporaneo esilio caraibico la popolazione era costretta a supportare un sistema che era la tomba dei diritti umani e dei principi morali.
Allora vi fu un Mosè liberatore, che in sé custodiva il seme di Giacobbe pur essendo cresciuto nella famiglia del faraone. In questo tempo invece vi furono molti Mosè che allo stesso modo erano cresciuti sotto l’ombra di un Inghilterra faraonica ma comunque portavano in loro la discendenza africana. Ecco che anche questi allora, come il patriarca fece, colpirono a morte l’egiziano e lo seppellirono nella sabbia quando rinnegarono in maniera definitiva l’appartenenza ad un sistema corrotto e schiavista che voleva brutalizzarli.. per compiere le Scritture questi seppellirono la mentalità coloniale nella sabbia delle coste dove i loro antenati erano approdati.

I liberatori presero la bandiera del tricolore Etiopico, ne fecero la loro identità e segno di salvezza, fecero voto di voler essere trasformati e non solo la loro anima fu rinnovata ma anche nell’aspetto furono cambiati. Scesero allora nelle strade portando la dottrina della Potenza della Trinità che era ora viva e presente in Terra per compiere il Regno dei mille anni. Lo scandalo e la follia presero le menti delle genti e la persecuzione iniziò contro coloro dinanzi ai quali pochi potevano essere trovati giusti. Era l’Egitto, era Israele, era l’Antico Testamento e allo stesso tempo il Nuovo… era la Rivelazione nei giorni moderni che dava senso a tutti i segni del tempo.
Alla luce di questa chiamata in moltissimi risposero, rinnegando i loro averi nel mondo (uomo vecchio) e acquistando gli averi del Cielo (uomo nuovo), decidendo di vivere in comunione con il Re che mostrava la salvezza attraverso l’esempio delle azioni. Attraverso le azioni infatti babilonia aveva portato le persone all’inferno e attraverso le azioni il Re dei re ora le riscattava trasformando gli inferi in paradiso. Erano stati deportati in una briciola di terra in mezzo al mare per far sì che le loro voci non potessero essere  udite, ma quella stessa isola divenne uno strumento da cui la voce di redenzione partì per risvegliare il mondo intero. Era stata insegnata loro una nuova lingua per far sì che perdessero le loro radici, ebbene il loro linguaggio percorse le ali del vento mostrando radici comuni all’umanità intera.

Questo canto di redenzione universale partì da coloro che distribuivano negli angoli dei ghetti immagini dell’ incoronazione del Negusa Nagast, invitando le persone a prestare obbedienza e onore a Lui piuttosto che al sovrano inglese.
Ora I n I Rastafari si appresta a celebrare questo santo giorno che è il coronamento delle nostre attese, è l’evento che ha la capacità di liberare l’umanità intera e non soltanto le vittime della diaspora, è l’avvenimento che ci porta libertà e ci offre centratura nella pratica della Livity.
Nella maestosa gloria del Re dei re, ci viene concessa di trovare la nostra umile e semplice gloria di esseri umani, questa è la possibilità di vivere la vita nella pienezza dell’umanità con la consapevolezza della divinità che vive dentro I n I.

Nella corona troviamo la nostra elezione e la nostra umana, semplice e terrena regalità.
La gloria dell’essere umano è la coscienza di essere al centro degli elementi e poter fare esperienza di quello ‘spiritual network’ che definiamo spiritualità. Una volta in grado di percepire questo spiritual network starà a noi praticare ed esercitarci al fine di rimanervi e dimorare in esso. Perché esso stesso è la nostra condizione di ‘regalità’ tramite la quale possiamo essere partecipi del Regno dei Cieli che il Creatore ha disposto qui ed ora per noi. “ Voi sete dei, infatti, siete tutti figli dell’Altissimo” (Sal 82)  recitano le Scritture..ebbene con l’incoronazione di Sua Maestà ci viene estesa questa condizione nella quale possiamo rimanere e vivere per sempre, così come Egli resta, vive e regna per sempre nella Terra di Zion.  Non dicono forse le profezie che Egli avrebbe regnato ‘con i suoi’ per mille anni?
Come per Sua Maestà, questa Gloria porta con sé responsabilità e disciplina, Egli stesso pronuncia un giuramento di fedeltà ed impegno, allo stesso modo I n I deve essere sottomesso alle leggi del Cielo e seguire una condotta che possa far brillare il nome che portiamo. Attraverso lo zelo, l’impegno e la fede, potremo custodire questa gloria che ci concede il Creatore non per esaltarci ma nemmeno per negarci alle nostre persone, ai parametri che Egli ha disposto per I n I e alle gioie che ci ha riservato.
Ecco, essere partecipi della gloria significa avere la possibilità di accedere ad una vita spirituale che ci porti a regnare, cioè prenderci cura del nostro destino aprendo le porte alla grazia divina, essa può portare tanta pace e serenità nelle nostre storie di vita. Così facendo I n I diventa continuazione di Sua Maestà, nel corpo e nello spirito I n I Egli rappresenta e manifesta attraverso le nostre condotte. Il nostro Dio infatti si è rivelato al mondo attraverso le opere ed è attraverso queste che I n I costruirà la salvezza e ricercherà la redenzione.
Attraverso la pratica dell’esperienza vitale, attimo dopo attimo, dobbiamo costruire il Regno dei Cieli al quale siamo stati chiamati, senza dare nulla per scontato ma entrando, attraverso la visione profonda, in comunione con il nostro creato, con il resto degli abitanti di questo pianeta, con le realtà visibili e con tutte quelle invisibili che ci circondano.
Ricordiamo infatti che Sua Maestà, prendendo il nome nuovo al momento dell’Incoronazione, concede ad I n I di poter tenere il Suo ‘vecchio’ Nome cioè Ras Tafari benedicendoci per essere la Sua continuazione vivente. Infatti il Suo ‘vecchio nome’ per I n I diventa un nuovo nome a significare che ogni cosa può essere rinnovata nella dimensione divina e spirituale.

Per compiere al meglio questa sacra missione dobbiamo anche gioire. La gloria infatti porta con sé elementi di felicità, gioia, soddisfazione, pienezza, energia ed entusiasmo. Ebbene questo ci dice che se la nostra gloria è nella semplice e piccola vita di I n I , allora dobbiamo gioire in essa, goderci la nostra esistenza coltivandone ogni aspetto come Sua Maestà ha fatto con ogni centimetro del Suo regno. Godendo dell’essere vivi potremo manifestare in ogni momento il Regno dei Cieli e non avremo bisogno di molte parole perché le nostre persone saranno intonate ed accordate con il Creato e lo ‘Spiritual Network’.

I n I osserva e medita riguardo ai fatti di quel 2 novembre 1930 e vede che la luce che si irradia nella Cattedrale significa che ci viene donata una vita nuova, in cui il nostro corpo è quella cattedrale e il trono luminoso e  centrale è la nostra comunione con il Creatore, questa luce se coltivata può diventare una vera e propria indicatrice di direzione da seguire che può condurci e guidarci nei giorni. Essa parte dal centro ed irradia tutto proprio perché in Rastafari ogni comprensione ed ogni energia deve partire dall’elemento divino che dimora in noi, questo è il nostro centro, il luogo prima di nozioni, parole, conoscenza, paura, insicurezza.. dove la nostra consapevolezza dimora in unione con lo spirito divino. Questo è l’I. L’io eterno, il grande I dentro I, l’Innerman che dimora in I, Haile I !!!
Nella consapevolezza della Livity e con tanta dedizione, questo centro sarà il modello su cui plasmeremo il resto del mondo e non saremo noi ad essere modellati da ciò che ci circonda. Non è forse scritto “alla Tua luce vediamo la luce” (Sal 35) ?

I n I Rastafari osserva e medita sull’ acclamazione del popolo in festa  e in questa vede la gioia di assistere e celebrare in maniera condivisa la vita che si manifesta ogni giorno perché  I n I Rastafari vive quotidianamente dinanzi ai miracoli e questi sono davanti agli occhi di tutti..non sono un segreto a noi soltanto rivelato. I n I Rastafari è manifestazione, proclamazione dinanzi alle persone che con noi condividono la vita su questo pianeta. I n I non arriva in Rastafari per nascondersi ma per uscire sotto la luce che può illuminare anche altri. Attraverso la nostra testimonianza ed il nostro esempio I n I ha la capacità di ispirare gli altri, così come il King ispirò le nazioni ad elevarsi ad un livello superiore dove la parola cambiamento era sinonimo di salvezza.
Ecco perché l’Incoronazione è avvenuta in presenza di persone locali così come di dignitari dall’estero, perché questo è il tempo in cui le benedizioni e la strada verso il Regno dei Cieli devono essere condivisi a livello universale, perché la forza della rivelazione che parte dalla nostra livity  può avere eco ed effetto sul resto dell’umanità spettatrice della nostra condotta di vita che è la corona che I n I indossa, fisicamente e spiritualmente. 

La rivelazione Rastafari, infatti, parte da un piccolo gruppo di persone e raggiunge in pochi anni i quattro angoli della terra portando ideali e valori di risveglio universale al globo intero. Proprio come la notizia dell’Incoronazione partì dagli altipiani etiopici e velocemente fece il giro del mondo. Nelle dodici nazioni che assistettero noi troviamo le genti che I n I deve educare e a cui I n I deve portare il messaggio per far sì che anche loro possano inchinarsi al Re delle loro vite, ovvero lo spirito divino che in loro dimora.

La missione di I n I infatti non è necessariamente far sì che ogni persona di questa terra arrivi a vedere His Majesty allo stesso modo di Ian’ I  ma è piuttosto mostrare un esempio attraverso il quale le persone possano riconnettersi con il loro centro e con la loro sfera naturale, spirituale e salutare. I sovrani invitati dall’estero alla cerimonia infatti non erano etiopi e di certo non lo divennero in quell’occasione ma a loro fu estesa la possibilità di inchinarsi davanti al Re dei Re e quindi prendere parte al disegno divino che porta verso la salvezza. Quale significato può avere infatti la conoscenza e la salvezza se non viene condivisa? Osserviamo in questo tempo fedi e religioni che precludono ai loro fedeli la possibilità di vita eterna, I n I Rastafari rompe queste barriere che odorano di protagonismo ed egoismo per estendere la possibilità di felicità e redenzione a tutti coloro che desiderano prendere parte alla vita, intesa come risveglio dello spirito, della mente e del corpo, tre in uno e uno in tre.

Fratelli e sorelle, prendiamo quindi parte a questo giorno santo in maniera consapevole e con lo spirito pieno di gioia, entriamo nella Cattedrale di San Giorgio con canti di giubilo, recitiamo i Salmi e le profezie nella soddisfazione del cuore, affidiamoci alla Maestà Divina perché Suo è il regno e la sovranità, Egli governa con rettitudine e ogni nostra sofferenza può essere curata nel Suo regno. Come cantavano Marley e Planno: Haile Selassie is the Chapel.. bring your trouble to Selassie ..He’s the only King of Kings..Build your mind in this direction..power of the Trinity.

Fratelli e sorelle, impariamo a non dare nulla per scontato perché tutto è santo in questa Creazione.. siamo stati invitati nella vita e nel destino a partecipare a quest’opportunità, ovvero conoscere Sua Maestà il Black Christ in His Kingly Character ,  che è la cosa più dolce che poteva avvenire alle nostre persone. Siamo stati invitati a celebrare il Re dei Re nel suo ritorno e nella Sua Gloria affinchè potessimo quindi prendere parte a questa Nuova Creazione nella Sua Gloria per trovare la nostra completezza.
Famiglia Rastafari qui presente, bredren e sistren vicini e lontani, bambini, giovani ed anziani, indossiamo la Corona e camminiamo lungo la strada che ci porta a Zion.  Indossiamo la Corona, diventiamo regnanti dei nostri destini e impegniamoci a prenderci cura di questa vita che I n I deve imparare a coltivare per farla fiorire.
Indossiamo la Corona oggi e per mille anni, quando gioiamo e quando soffriamo perché Egli è sempre presente e mai scompare.

King and Queens Ian’ I siamo stati chiamati per essere incoronati per prenderci cura di noi stessi, dei nostri prossimi, dello spazio e del tempo, per diventare amministratori di realtà visibili ed invisibili in questo sistema in cui il riflesso del Cielo fa risplendere la Terra.

Indossiamo la Corona, in umiltà e disciplina, senza esaltarci ma con la voglia di crescere e migliorare,  in fratellanza e condivisione, in empatia e misericordia, nell’amore incondizionato che si soddisfa nel dare più che nel ricevere, nella luce della felicità di vedere il nostro prossimo gioire e i nostri figli crescere sereni, indossiamo la corona per prendere parte al Regno, per accettare i compiti e le missioni che il Re ci affiderà, per essere la montagna su cui i nostri fratelli possono fare affidamento, per essere l’acqua in cui essi possono lavarsi, per essere il calore con cui questo mondo può riscaldarsi, per essere il vento che spazza via la tristezza e fa risplendere il sole, per essere la pioggia che può nutrire un seme ma anche modellare le montagne,  per essere il sale con cui questa vita può essere insaporita, per essere la parola che può rafforzare e il silenzio che può incoraggiare, le radici con cui l’albero rimane in piedi, il tronco con cui resiste alla forza delle intemperie e le foglie che risplendono sotto i raggi del sole, siamo l’alfabeto di un nuovo linguaggio creato per completare il Libro della vita,  indossiamo la Corona e camminiamo nel Giardino di Zion, perché i mille anni di Regno sono gioia e perfetta letizia.
Selah


sabato 21 aprile 2018

La Livity Rastafari nella storia pt.2


Nel cuore e nell’ animo dei profeti bruciava un fuoco ardente proprio come quello che Mosè vide dinanzi a sé quando ricevette la rivelazione del Creatore sul Monte Horeb.
Un fuoco che arde ma non distrugge, proprio come la Livity Rastafari che scalda e genera energia ma non distrugge e non consuma.
Essa è un fuoco generatore. Essa è un fuoco che produce fuoco, che fa crescere e costruisce.
Questo fuoco non divora e non uccide ma purifica, proprio come lo stesso Mosè che era presente dinanzi alla montagna fumante del Sinai sotto il fuoco che l’avvolgeva senza essere distrutta. E proprio dinanzi a quella montagna che il popolo tremava mentre Mosè era invece chiamato a salire presso il Signore che si rivelava nella nube.

Questo fuoco è la Livity Rastafari che porta il Rastaman a compiere il primo passo verso la salita di quella montagna dove incontrerà Dio.
Questo monte sono le altezze del suo spirito che risiedono nella profondità della sua persona e per compiere questo percorso egli necessita di purificazione, di essere provato con il fuoco della Livity Rastafari che ripulisce il nostro modo di vivere portandolo dallo stato di comune esistenza a quello di vita benedetta e consapevole in comunione con il Creatore.
Ecco come il metallo che non è ancora totalmente puro deve essere scaldato ad un’alta temperatura così da perdere le impurità e mantenere soltanto la sua parte più nobile, allo stesso modo colui che cammina nella strada della Livity Rastafari viene forgiato dal fuoco della fede e della consapevolezza affinchè possa egli perdere quelle parti della sua persona che lo appesantiscono e possa giungere ad un livello di purezza più consono alla strada della Liberazione.

Questa Livity Rastafari che Ian’I vive e pratica in quest’epoca, vive dall’inizio dei tempi.
Essa era presente in Salomone quando decise di chiedere al Signore saggezza e scienza per governare il popolo invece di oro e ricchezze.
Il Signore all’udire quelle parole fu colpito dall’umiltà e dalla profondità di spirito di Salomone al punto tale che concesse lui anche oro, beni e ricchezze oltre alla saggezza che il re aveva domandato.
È la Livity Rastafari che era presente nello spirito di quel grande re mentre estendeva quella richiesta. Questa Livity che professa che la saggezza è meglio dell’oro e dell’argento e che pone l’essere umano in una condizione di poter vivere e godere delle ricchezze spirituali di questa esistenza concedendo ai beni materiali il loro posto senza farsi sopraffare da essi o dal desiderio di essi.
Questa Livity Rastafari che ci dice che “le labbra del giusto nutriscono molti, gli stolti muoiono in miseria” (Prv 10,21) e che porta il Rastaman a vivere come una persona antica nello spirito ma moderna nell’intelletto.

Questa Livity che ci porta a contemplare le porte della nostra consapevolezza rimanendo a lungo seduti presso di esse per studiare i movimenti del nostro animo e imparando a comprendere chi sia realmente l’uomo per poter ammirare chi sia realmente il Creatore. Una pratica ed un esercizio costante che ci istruisce consentendoci di misurare ciò che realmente importa in questa vita e a saper gustare i frutti dello spirito piuttosto che affondare nel cieco materialismo.
Questa Livity Rastafari che ci dice che ogni quesito dell’essere umano trova risposta nell’essere umano, che proprio quando l’uomo pensa di essere limitato ed inconsapevole allora inizia il cammino verso la saggezza e la ricchezza spirituale che ci consente di accrescere il nostro tesoro esistenziale diventando re del nostro destino e maestri della nostra vita.
Questa Livity Rastafari che viveva già sulle labbra dei saggi dell’antichità quando esprimevano in proverbi e libri sapienziali la strada del fedele di Dio.

Essa era presente e si esprimeva nelle profondità di spirito del Siracide che già tra il terzo e secondo secolo a.C. istruiva molti nella sua scuola chiamata “La Casa della Ricerca” lungo le mura di Gerusalemme.
Egli che ci ricorda che “ogni sapienza viene dal Signore” (Sir 1) e che “prima di ogni cosa fu creata la Sapienza” (Sir 1,4).
Ecco questa sapienza e conoscenza, questa profonda consapevolezza che vive in questo universo e che infonde profondità e compassione nello spirito umano, essa è un componente fondamentale della Livity Rastafari in cui il Rastaman smette di vivere come singolo uomo ma diventa un tutt’uno con il Creatore ed inizia a pensare e a parlare con la Sua mente e la Sua bocca proprio perché egli è dimora e strumento di Dio allo stesso tempo.
Siracide è il Rastaman che non vive soltanto di sorda preghiera ripetuta meccanicamente ma usa la fede per comprendere il significato profondo di quest’esistenza, delle fasi della vita e dei moti dell’animo umano.
In Rastafari la Livity è domanda e risposta, analisi e comprensione, una dimensione in cui l’uomo chiede e il Padre risponde sia nell’intimo dello spirito che nelle vicende della vita, proprio perché questa Livity è manifestazione nella realtà della presenza del  Creatore. Siracide è il Rastaman che penetra nella profondità della psicologia umana e tra i suoi diversi aspetti scorge un filo conduttore che è la comunione con questo Spirito antico ed originario al quale dobbiamo accostarci e con il quale dobbiamo accordarci proprio come uno strumento. Questo avviene al fine di poter vivere in Esso che è lo Spirito del Divino che da sempre permea questo universo.

Ecco che tramite l’indagine e la meditazione il Rastaman, proprio come il Siracide, giunge a capire che la strada di Dio non può essere soltanto una serie di regole da seguire e lodi da recitare ma esiste un livello più profondo, più completo in cui tutti gli aspetti dell’esistenza possono essere letti e compresi nella luce della presenza di Dio nell’uomo.
Psicologia, emotività, amore, odio, benessere e sofferenza hanno tutti un motivo nella dimensione divina dell’umanità, ed ecco che attraverso la luce della Livity Rastafari noi riusciamo a comprendere la legge senza tempo della causa-effetto che così profondamente vive nelle dinamiche delle nostre vite.
Nella Livity Rastafari impariamo a capire che non esiste un aspetto della nostra esistenza in cui non sia presente il Creatore, e che ogni occasione delle nostre vite è una potenziale possibilità di risveglio e crescita spirituale.

Anche l’errore ha il suo senso, anche il male può essere un libro su cui imparare la strada del bene, ogni cosa ha in sé il principio della trasformazione da negativo a positivo ed è questa pratica antica che vive ancora oggi nella tradizione Rastafari.
Ecco perché la Livity era presente nelle meditazioni degli autori dei libri sapienziali, perché essi insegnavano a manifestare la fede attraverso la condotta così da vivere costantemente in una grazia spirituale che si riflette nelle azioni rette e giuste.
Proprio come il Rastaman che con l’insegnamento di essere Creatori della Creazione predica una vita spirituale attiva e presente nella realtà, al fine di trasformare questa nel regno di Dio e decorare questa esistenza della rettitudine che ricopre la terra come le acque ricoprono il mare.
Questa Livity che ci rende infiniti, senza limitazioni, oltre noi stessi ma ben radicati in noi stessi.
Cresciamo per diventare interpreti di un disegno superiore a noi ma che include e che necessita di noi per manifestarsi nella sua bellezza e nella sua grandezza.

Questa Livity Rastafari che vive da sempre ma che ha scelto gli ultimi di questa Terra per manifestarsi e per dimostrare al mondo che anche il popolo più piccolo può moltiplicarsi e diventare infinito come la sabbia del mare se vive secondo lo Spirito dell’Onnipotente.
Ecco che Ian’I Rastafari vive prima e dopo questo corpo, prima della nascita e oltre la morte, prima del dolore e di qualsiasi altra emozione negativa che affligge il cuore dell’essere umano, perché tutto trova il suo senso al cospetto del Creatore e della moltitudine dei suoi disegni e piani.
Dalle altezze del nostro spirito Ian’I impara ad osservare queste emozioni e questi aspetti della nostra personalità e vede che sono come le colline che si susseguono in successione quando osserviamo un paesaggio da un’altura. Essi sono dei livelli di comprensione e di esperienza che impariamo ad esplorare e poi gestire nella Livity Rastafari conoscendo meglio noi stessi ed imparando a conoscere tutti gli esseri umani usando la via spirituale come un dizionario con cui tradurre ed interpretare i vari aspetti di questa umanità.

sabato 14 aprile 2018

La Livity Rastafari nella storia


La Livity Rastafari è nata prima del 1930.

Essa era infatti presente nel profondo dello spirito del primo uomo che apparve su questa terra.
Essa era insita nell’animo di generazioni di esseri umani che hanno camminato le vie del mondo evolvendo il sapere e la spiritualità umana. La Livity Rastafari era presente nei maestri spirituali anche di altre correnti religiose e scuole di pensiero, essa ha pervaso questa Creazione sin dal momento che il Creatore infuse il Suo Spirito nel corpo dell’essere umano.

La Livity Rastafari ha attraversato l’antico Israele, essa è stata embrionalmente la spinta che ha portato Mosè a spezzare le catene d’Egitto ed incamminarsi verso la liberazione, ha donato a lui la forza di vedere un nuovo giorno da uomo libero in un popolo libero. La Livity Rastafari ha percorso il deserto nei cuori stanchi di coloro che cercavano un posto in cui poter finalmente risposare, nella loro sete e nella loro fame, nelle loro prove, nelle loro debolezze e nel loro coraggio. Questo affinchè si sapesse che dal deserto può sgorgare acqua e dal cielo può cadere cibo.
Ecco tutto ciò era un preludio di quella che sarebbe stata la via del Rastafari in quest’epoca, egli che si disseta di un’acqua spirituale nel deserto di una moderna Babilonia e che si nutre del cibo che dai cieli della sua percezione egli raccoglie.

La Livity Rastafari fu ciò che gli ebrei videro brillare sul volto di Mosè quando stanco e provato egli scendeva dal Monte Sinai subito dopo aver incontrato e dialogato con il Signore del Cielo e della Terra.
Essa era presente nei suoi occhi e nel lucido riflesso sulla sua fronte, essa era una luce nuova che gli uomini non avevano mai visto prima e che temevano in quanto cosa troppo grande per loro da accettare.
Ecco essa era il segno di un’alleanza e di un’intesa che sarebbe durata per il resto dei tempi, a molti sconosciuta ma ugualmente rivelata nella luce che splende sul volto del Rastaman.
Egli che riceve la sua luce dagli incontri con il Creatore sulle cime dei monti del suo spirito e della sua mente. Quelle altezze in cui egli dimora e che egli stesso chiama casa. Quelle altezze che i patriarchi Rastafari andarono ad esplorare quando si lasciarono indietro babilonia e scelsero la giungla come loro casa, il canto degli uccelli come loro voce, i frutti del giardino dell’Eden come loro cibo. 

La Livity fu deportata e rimase prigioniera nell’arsura della calda Babilonia.
Nella siccità di idoli pagani e di modi corrotti, nello sfarzo artificiale del tentativo degli uomini di farsi dei, essa rimase nascosta e crebbe in intensità, protetta e fortificata tra le catene e le prove di coraggio, essa prevalse. Diede coraggio a Daniele quando dovette incontrare la ferocia dei leoni che volevano strappargli la carne, ecco essa rimase viva e si espresse nella forza di spirito che come per magia rese le bestie mansuete.

Daniele era il Rastaman che la ferocia di Babilonia vuole masticare ed inghiottire affinchè egli più non sia.  Ma il Rastafari è l’uomo originale ed è capace di separare il male dal bene.
Il suo spirito vive prima della rabbia e della ferocia, la sua voce raggiunge tutto il creato; e così le fiere non lo assalirono perché riconobbero in lui la voce naturale ed originale dell’InnerMan, del Dio-uomo che dimora in ognuno di noi e che è capace di comunicare con il nucleo divino di ogni essere vivente liberando dal male e dalla fame.
Questa manifestazione era la Livity ed essa salvò Daniele.
Così i malvagi non sopprimeranno il Rastaman perché egli vive nel mondo ma non è del mondo, egli è non-nato ma sempre esistente nelle pagine della storia che si susseguono.
La Livity è la sua manifestazione ed essa è la sua vita senza fine.

La stessa Livity che ha ispirato il Salmista Davide a ricordarci di “riposare nel Signore” (Sal 37) di affidarci a lui in un modo così completo e totale che non  necessitiamo più di nessuna azione o nessun pensiero al di fuori di Lui. La nostra Livity diventa pensiero ed azione e semplicemente restiamo in silenzio e riposiamo in Lui consapevoli che la perfetta circolarità ed incastro degli eventi positivi porteranno pace e prosperità sul nostro cammino nonostante le dure prove e tribolazioni.
È la Livity Rastafari che è il “riposare nel Signore” ovvero rallentare e semplicemente essere in Lui.
È la strada del Rastaman in cui preghiera e azione diventano la stessa cosa, egli che vivendo riposa nel Creatore e anche quando riposa la sua pelle e il suo respiro intonano silenziosi canti di gloria.
Egli che riposa fiducioso riponendo fede e coraggio nel bene superiore del male, nel compimento delle profezie antiche nei giorni moderni, egli che vive in questo oggi come messaggero di un tempo antico e mai passato. Attraverso questa Livity Rastafari egli resta in silenzio quando altri gridano di disperazione, riposa e si affida quando altri si tormentano di ansia.
Egli vede perché spera e in tutto si affida, mentre altri diventano cechi nel desiderio incontrollato di voler vedere il futuro senza aver fiducia.
Il suo essere nella Livity è il “non essere” di Babilonia.

Ovvero quando egli è, e vive nella Livity Rastafari, allora una parte di Babilonia cessa di esistere perché soccombe dinanzi alla potenza della spiritualità e della consapevolezza. Mentre Babilonia attacca e si dimena, il Rastaman apparentemente riposa nella sua meditazione ma in realtà vive di una vita superiore che gli consente di non dover più combattere né sudare perchè dimora nell’ assenza di conflitto e di conseguenza il male non ha più presa su di lui.



sabato 17 marzo 2018

Livity Rastafari per sapere dove siamo e dove stiamo andando.


Mentre marzo annuncia le prime parvenze di primavera dopo che il gelo si è sciolto e le giornate sono impregnate di umidità, osserviamo questa Creazione muoversi in avanti spingendosi verso un nuovo ciclo, una nuova stagione.

Questo ci porta verso una riflessione: quanto sia importante sapere cosa stia accadendo intorno a noi e dove siamo in questo momento. Il momento di cambiamento è infatti una perfetta occasione per contemplare con occhi nuovi e mente chiara la nostra posizione in questa vita, dove siamo e dove stiamo andando. La transizione tra una stagione ed un’altra è un monito ed un invito a guardare dentro di noi e a fare, in un certo senso, il punto della situazione per prepararci poi al nuovo capitolo che porterà l’estate ed il suo calore.

Tutto è connesso in questa esistenza e l’alternarsi delle stagioni hanno il loro significato non soltanto per l’agricoltura ma anche per la psicologia e la spiritualità umana.
Nella Livity Rastafari uno dei perni della nostra pratica di fede è la consapevolezza.
Essa ci permette di essere presenti in qualsiasi momento stiamo vivendo, sia esso bello o brutto, sereno o complesso… noi semplicemente sappiamo di esserci. Questa consapevolezza è un esercizio, una pratica e soprattutto un’energia divina che ci permette di vivere realmente e non semplicemente di esistere seguendo il flusso delle onde.

Rastafari è un risveglio nell’amore e nella chiarezza, queste qualità si aiutano con la consapevolezza ovvero la capacità di sapere cosa sta succedendo ed essere consapevoli del momento che stiamo vivendo.

Consapevolezza significa essere presenti.
Essere presenti è un’azione che impariamo direttamente da Dio in quanto Egli è sempre presente, mentre invece l’uomo tende all’assenza. Tendere all’assenza significa che l’uomo ha per sua natura quella di “scomparire “ nei suoi problemi, nei suoi pensieri e nei suoi incastri mentali che così spesso gli impediscono di vivere serenamente questo magnifico viaggio su questa terra.
Ecco perché l’uomo, come la Bibbia spesso ci manifesta, ha continuamente bisogno di essere riportato al suo stato di consapevolezza, di bontà, di rettitudine, affinchè possa, attraverso la consapevolezza, godere di quella grazia spirituale che le Sacre Scritture ci promettono sin dalle prime pagine della Genesi.
Adamo infatti, che ha disobbedito al Creatore, viene ripreso e ammonito, perde la sua condizione divina ed è costretto a lavorare, ma il Creatore allo stesso momento in cui lo rimprovera e lo punisce, gli promette che attraverso il suo lavoro potrà ritornare al suo stato originale di comunione e grazia con Dio. Ecco che la Bibbia sin dall’inizio ci presenta qual è la strada dell’essere umano: lavorare per riportare la propria persona a quella grazia originale in cui siamo stato creati.

Molti allora potrebbero dire: “Ma allora Dio è cattivo, perché se ci ama così tanto dovrebbe sottoporci a tale sforzo? Perché non potrebbe semplicemente perdonare il peccato di Adamo e farci rimanere in una condizione di Paradiso Terrestre? Perché dobbiamo sudare e lavorare per recuperare quello stato così bello che una volta avevamo già?”
Sono tutte domande legittime, ed esiste una semplice ed appassionante risposta: la crescita umana.
Nulla è per caso nella storia biblica e nulla è senza un fine benevolo per l’essere umano.
Dio infatti ci porta a dover guadagnarci con le nostre mani il nostro destino e la nostra salvezza. Perché? Perché soltanto così la redenzione sarà un viaggio che noi e soltanto noi veramente compiremo, certamente con l’aiuto di Dio ma essendo con lui co-piloti della nostra vita. Soltanto se ci impegneremo con tutte le nostre energie ad essere persone migliori potremo veramente esprimere al massimo le nostre potenzialità interne e scoprire quindi di avere capacità che nemmeno sognavamo di avere.

Soltanto attraverso il nostro lavoro potremo conquistarci quel posto nel paradiso terrestre che fu promesso ai nostri progenitori. La grazia divina infatti è un rapporto di comunione con Dio, è un dialogo, è una compresenza. Queste qualità non scendono semplicemente dal cielo e ci piombano addosso, ma dobbiamo cercare detro noi stessi per trovare la strada per raggiungerle. Ecco perché il compito è lasciato a noi. Se Dio avesse voluto semplicemente farci rimanere in una sorta di “età dell’oro” in cui eravamo perfetti semidei che non avevano nulla di cui preoccuparsi e che non commettevano errori cosa ne sarebbe  stato della nostra consapevolezza? Cosa ne sarebbe stato della nostra libertà di crescere ed evolverci, di scoprire dentro di noi tutte le grandi capacità che possiamo avere, cosa ne sarebbe stato della nostra genuina individualità, della creatività, dell’espressione, della nostra singolare unicità? Saremmo stati come degli atleti che prima di partecipare alla gara ricevono già la coppa e quindi non si sforzano mai di vincere.

Invece no.
Gli esseri umani sono stati creati perfettamente incompleti per raggiungere la completezza attraverso i loro sforzi. Siamo stati creati potenzialmente perfetti ma i nostri processi mentali ci rendono imperfetti, testardi, limitati, fallaci, inclini a sbagliare e a commettere il male. Ecco la via Rastafari ci dice che la salvezza è un percorso e non solo un punto d’arrivo. La redenzione è il lavoro di una vita intera in cui a volte vinciamo e altre cadiamo nell’errore, fa tutto parte di questa meravigliosa storia che è la nostra umanità. Ecco che lo strumento che utilizziamo per condurre questo viaggio dentro e fuori di noi è la consapevolezza, la presenza mentale.
È fondamentale osservare noi stessi e sapere dove siamo, che sta succedendo nelle nostre vite e cosa dobbiamo cambiare affinchè il precorso possa essere migliore per Ian’I. Coltivare la presenza mentale significa aprire le porte al Creatore delle nostre vite e metterci in cammino verso quella condizione originaria che è dentro di noi e che la Livity Rastafari, in questa epoca di Armagideon, è l’unica pratica spirituale su cui possiamo realmente contare . Molte religioni infatti ci parlano di paradiso e vita dopo la morte ma chi ci istruirà su come vivere ora?
Chi ci insegnerà come condurre al meglio questa esistenza qui su questo pianeta? Chi ci indicherà come gestire le nostre imperfezioni, i nostri errori, le nostre debolezze e i nostri limiti al fine di crescere e raggiungere il nostro paradiso qui ed ora su questa terra?
Chi ci insegnerà come soffrire senza perdere la bussola della realtà e chi ci ammonirà quando stiamo andando per la direzione sbagliata?
La risposta è la Livity.

Essa è la voce dell’Onnipotente dentro e fuori di noi.
La Livity è l’ancora nel mare in tempesta, la Livity è la chiave d’interpretazione che ci permette di comprendere (overstanding) e non  semplicemente di accettare le cose come vanno.
Ecco che nella Livity Rastafari ogni azione ed ogni circostanza è un segno dal Cielo, ogni avvenimento è un’ opportunità di salvezza e redenzione, ogni avvenimento è fonte di saggezza, di crescita, di consapevolezza. Ian’I Rastafari pratica questo modo di vivere perchè soltanto attraverso la vita possiamo recuperare la nostra vera vita.
Non possiamo cambiare le nostre esistenza soltanto grazie a teorie, discorsi o belle parole ma saranno le azioni che faranno realmente la differenza. Non possiamo cambiare semplicemente perché pensiamo di aver capito come si fa ma poi non mettiamo in pratica gli insegnamenti.
La chiave è la vita stessa.

Il libro da cui imparare è lo stesso libro su cui scriviamo, ovvero la nostra stessa esistenza.
La consapevolezza e la presenza mentale ci offrono la possibilità di poter osservare e cambiare gli eventi, di adeguarli al modello che riteniamo giusto che è la via del Rastaman, la via verso Zion, la via verso il ritorno a casa.

sabato 17 febbraio 2018

Livity Rastafari, sappiamo cosa cercare?


Esiste un grave problema in quest’epoca ed esso affligge molti che, vecchi e giovani, sono in cerca di pace e benessere.
Questo problema è la diffidenza, lo scetticismo verso le bellezze di questa esistenza e soprattutto verso la sua realtà spirituale.

Quando parlo di diffidenza mi riferisco alla resistenza a volersi fidare e a voler credere che questa vita abbia una dimensione spirituale che la rende ricca e profondamente bella.
Non mi riferisco ovviamente alla diffidenza verso ciò che è negativo e che può essere nocivo per le nostre vite come quando ad esempio ci propongono di prendere parte ad un’azione negativa e noi siamo riluttanti perché sappiamo che non è cosa buona, in questo caso infatti essere diffidenti è un pregio e non un difetto.
La diffidenza verso il bello della vita è come un taglietto sotto un piede, all’inizio è un piccolo fastidio che si tende a tralasciare pensando che presto si rimarginerà, in breve tempo però il taglietto diventerà una ferita e ci impedirà di camminare. Ecco che lo scetticismo verso la dimensione spirituale dell’esistenza è un dolore molto simile, nasce da piccole domande o inquietudine interna e diventa un handicap che ci impedisce di percorrere serenamente e pienamente il percorso della nostra vita.

L’essere umano ha infatti innatamente bisogno di una dimensione spirituale così come ha bisogno di cibo e un luogo caldo per l’inverno. È una condizione naturale in cui nasciamo e rinunciarvi equivale a privare la nostra vita di una parte di linfa vitale, e sappiamo bene che questo può essere molto rischioso perché se quando in un albero una parte dei suoi rami smette di ricevere linfa a causa di qualche problema nel tronco, ecco che ben presto quei rami si seccheranno e il primo forte temporale li spezzerà.

Esiste una causa dietro a questa diffidenza: la paura del non sapere.

Quando molte persone si avvicinano ad una strada spirituale sono profondamente combattute da un conflitto interiore che da una parte li spinge a voler ricercare quella dimensione nuova, fresca e appacificante ma dall’altra li tiene legati alla “vecchia” realtà riempendo la mente di dubbi, incertezze, timori e vergogne che spesso purtroppo rischiano di deviare la via e far abbandonare la ricerca interiore.
Queste dinamiche sono comuni e tutti ci sono passati poiché fanno parte del modo in cui funziona la nostra mente, quando ti approcci a qualcosa di grande e con una forte capacità di cambiamento allora la mente entra in una “fase di protezione” che ti porta a scannerizzare e confutare le tue scelte così da verificare se realmente si tratta della strada giusta da prendere. Sono tutti processi naturali che se affrontati con serenità e magari con l’appoggio di qualcuno che ci sia già passato, possono essere superati e anzi fungere anche da trampolini di lancio per la propria pratica spirituale.
La diffidenza quindi è una spina da rimuovere dalle menti e dai cuori.

Queste incertezze e piccole “trappole” della nostra mente però sono alimentate da un problema di fondo che sta alla base di tutto ovvero il non sapere cosa cercare.
Questo è il nocciolo della questione che spesso diventa un trabocchetto per molti.
Dottrine e filosofie per migliaia di anni hanno tentato di mostrare la strada interiore ma non tutte hanno giovato, infatti quando mal interpretate e mal trasmesse, queste sono state in molti casi tremendamente nocive.
Il grave e purtroppo comune errore che una persona possa fare è quello di vedere la via spirituale come una strada verso un qualcosa di diverso da questa realtà.
Questa è la pietra d’inciampo più comune che può deviare la nostra ricerca.
Migliaia di anni di predica riguardo all’aspettare di andare in Paradiso per avere una vita migliore, di dicotomia tra un corpo terreno peccatore e un’anima invece buona e vicina a Dio, non hanno fatto altro che ingigantire la distanza tra l’essere umano e la sua dimensione spirituale ottenendo il risultato, spesso molto comodo agli oppressori, di intimorire e quindi indebolire le persone. Questo non è il messaggio originale delle Sacre Scritture ma purtroppo un’interpretazione deviata da coloro che avevano come obiettivo quello di tenere le persone in schiavitù fisica, mentale ed emotiva.

Il risultato è stata la confusione in quanto le persone hanno incominciato a cercare la dimensione spirituale al di fuori di questa realtà creando teorie e viaggi mentali che tendono a mettere questa in luce negativa al cospetto invece di un’altra immaginaria sfera di quest’esistenza che dovrebbe essere invece perfetta, buona, e senza problemi ma che invece non esiste e nessuno mai troverà perchè è soltanto frutto dell’immaginazione negativa di alcuni che hanno distorto il messaggio originale. Questo distacco e questa dicotomia provocano una profonda sofferenza esistenziale che allontanerà le persone invece di avvicinarle.
Non è un caso infatti che le chiese siano vuote, le “vocazioni” in crisi, e ci sia una gravissima crisi spirituale diffusa in tutto il mondo, soprattutto laddove scribi e farisei abbiano cementificato l’idea di una vita terrena distaccata da quella celeste.

La risposta a questa confusione è una: la dimensione spirituale di questa realtà è già pienamente presente in questa realtà.

La vita spirituale è già presente ed accessibile in questa realtà, non dobbiamo vagabondare con la mente alla ricerca di chissà quale teoria o suggestionarci con chissà quale viaggio mentale, anzi dobbiamo tenacemente diffidare da tutte le dottrine e gli insegnamenti che ci invitino a ricercare chissà quale aspetto “magico”, paranormale o sterilmente trascendentale che invece ci deviano dal vero obiettivo che è vivere la pienezza di questa realtà.
Ciò che ci circonda è già la dimensione più alta e il livello più mistico a cui possiamo ambire in quanto questa realtà è il Regno di Dio, essa è la manifestazione della potenza divina e il nostro potenziale giardino dell’Eden.
Siamo noi l’elemento che fa la differenza.
Tutto sta a noi a riuscire a sviluppare gli occhi giusti con cui poter vedere.
Ecco quindi  l’obiettivo delle pratiche spirituali: aprire gli occhi e imparare a vedere correttamente. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già qui, tutto ciò che ricerchiamo è già presente, il Creatore non ha fatto nulla di incompleto e non ha fatto nulla di imperfetto, sono gli uomini che hanno complicato la strada dello spirito confondendosi con i viaggi mentali. I viaggi mentali indeboliscono l’uomo e lo fanno svolazzare come una foglia al vento, il “grounding” Rastafari invece, ovvero il radicarsi nella pienezza divina di questa realtà, rendono il fedele saldo, solido e fortemente ancorato al terreno delle benedizioni di Dio.

La Livity Rastafari dice che la pienezza del Regno di Dio è questo stesso mondo e questa stessa realtà, tutto sta a noi imparare a vedere le benedizioni che ci circondano ed uscire dallo stato di cecità e di sonno spirituale in cui l’ignoranza ci fa stare. Tutte le pietanze sono già sul tavolo e la mensa è già servita, ecco perché il nostro Dio si è fatto uomo mostrandoci la perfezione di questa realtà e la completezza di questa esistenza. Se l’uomo entra in sintonia con il Creatore e la potenza divina di cui è imbevuta questa Creazione allora scoprirà che nulla manca e nulla è stato sottratto, tutti gli elementi di gioia e perfezione sono già presenti come in un frutto sono presenti tutti gli elementi nutritivi che ci permetteranno di sopravvivere, noi non li vediamo ma essi ci sono e ci regalano salute.

Ecco che la via Rastafari è la santificazione di questa realtà, ovvero una pratica di vita tesa a riscoprire la divinità di questa vita e di questa Creazione e a fare esperienza così di quella pienezza esistenziale che è per natura riservata all’essere umano ma da cui diffidenza e scetticismo lo hanno allontanato.